Drammaturgia: Fabrizio Sinisi
regia: Paolo Bignamini
con Mario Cei e Federica D'Angelo
scene e aiuto regia: Francesca Barattini
assistente: Gianmarco Bizzarri
organizzazione e produzione: Carlo Grassi
consulenza scientifica: Gian Piero Piretto
progetto: Gabriele Allevi e Paolo Bignamini
coproduzione: ScenAperta e Teatro de Gli Incamminati / deSidera Teatro Festival
regia: Paolo Bignamini
con Mario Cei e Federica D'Angelo
scene e aiuto regia: Francesca Barattini
assistente: Gianmarco Bizzarri
organizzazione e produzione: Carlo Grassi
consulenza scientifica: Gian Piero Piretto
progetto: Gabriele Allevi e Paolo Bignamini
coproduzione: ScenAperta e Teatro de Gli Incamminati / deSidera Teatro Festival
“Sapessi com’è strano sentirsi
innamorati a Milano”. È la voce di Memo Remigi ad accompagnare il pubblico
milanese mentre prende posto tra le file dello Spazio Banterle, coinvolgendolo
fin da subito in un clima di confidenza e ambigua simpatia. Con una scelta
dall’efficacia immediata, il regista Paolo Bignamini decide di spostare la
scena dalla fredda Russia sovietica del romanzo di Bulgakov alla vivacità del
panorama milanese: la storia si fa più vicina, il discorso più diretto. Anche
la scelta di una scenografia strettamente essenziale – occupata da un’elegante
poltrona dalla quale Voland pronuncia la sua diabolica omelia e pochi altri
elementi, tutti fondamentali – è evidentemente concepita come aiuto alla
concentrazione e all’ascolto.
Fin da subito si coglie la
portata immensa della questione, la posta in gioco è altissima: chi dirige la
vita umana? Dio esiste? E il diavolo? E cosa comporta la risposta affermativa o
negativa a questa domanda? Questo impegnativo impianto d’indagine speculativa, insito
già nelle pagine del romanzo e fortemente sottolineato dalla drammaturgia di
Fabrizio Sinisi, è ora sorretto nello spettacolo di
Bignamini da una solida struttura teatrale. La figura di Voland, magistralmente
interpretata da un ottimo Mario Cei, riesce infatti a intessere un rapporto
vivo con il pubblico, grazie ad apostrofi e interrogativi brucianti, sfondando
la quarta parete che già la vicinanza fisica tra la platea e l’umile palco del
Banterle contribuisce ad assottigliare.
Anche laddove la dinamica
dialogica tra i molteplici personaggi interpretati dai due attori si fa meno
trasparente - complicata dal rapido sovrapporsi dei piani narrativi - la
continua oscillazione tra la maschera e il mascherato appare però sostenuta dagli
interpreti con piena padronanza: il pubblico è alternativamente coinvolto e
distanziato dalla vicenda – con salti dalla prima alla terza persona – così da
potersi emozionare, senza tuttavia perdere la distanza che rende possibile un
giudizio. Vediamo Margherita, ci coinvolge nella sua solitudine, ma ci ricorda
anche che la sua vita non è reale, ma una storia che deve servire a noi. Allora
ci guardiamo e vediamo la nostra di solitudine, senza poter fare a meno di
desiderare anche noi di ringiovanire con quel magico unguento che toglie ogni
maschera e ridona purezza.