LIBRO QUINTO
RIASSUNTO
Arriva il giorno e, su nell’Olimpo,
si tiene un’assemblea divina indetta da Atena, sempre mentre Poseidone, nemico
ad Ulisse, non si trova nella reggia del cielo. Qui la dea esplicita la sua
preoccupazione nei confronti di Odisseo: costretto già da sette anni a
trattenersi nella “cava spelonca” di Calipso che, innamoratasi dell’amabile
uomo, non lo lascia andare; inoltre è da solo e senza un’imbarcazione. Zeus decide
quindi di mandare Ermete (il nome greco di Ermes), il messaggero degli dei che,
calzati i sandali alati, sorvola mari e terre fino all’isola Ogigia. Viene colpito
dallo stupore nei confronti del magnifico giardino della ninfa, attraverso cui
si accenna alla caratterizzazione della stessa padrona, è infatti bello, florido
e rigoglioso come la donna, ma anche misterioso. Tanto magnifico che “anche un
dio avrebbe guardato stupito, e gioito nell’animo suo.” È stato scelto la
parola “bosco” probabilmente per indicare che anche la ninfa, come le ombre del
bosco, attira con la sua bellezza e nello stesso tempo nasconde qualcosa che
sia positivo o meno (lo stesso nome, Calipso, in greco significa “colei che
nasconde”). Il dio la interrompe nel lavoro che era proprio delle donne, la
tessitura (lo stesso in cui è impegnata Penelope), lei, secondo l’obbligo dell’ospitalità,
gli dà l’unico cibo che gli dei possono mangiare: il nettare e l’ambrosia. Ermete
risponde quindi alle domande che la ninfa gli porge riguardo alla sua visita,
le esplicita che la sorte di Odisseo non è quella di morire in quell’isola al
suo fianco, ma di ritornare in patria, il volere degli dei così è quello di
lasciarlo partire e non trattenerlo più a lungo. “Siete crudeli, voi dei,
gelosi più di ogni altro,”; questa è la risposta della donna rotta dal dolore
di perdere l’amato, che lui non potesse più essere suo, richiamando un esempio
alla mente del messaggero. La stessa sua sorte l’ebbe Aurora, che scelse di
amare Orione; gli dei la invidiarono e Artemide l’uccise con una delle sue
frecce. Ma non può ribellarsi alla sorte e al volere divino, obbedisce sebbene
sia stata lei a salvarlo dalle onde del mare e a prendersi cura di lui per
tutto questo tempo. Si reca quindi dall’infelice Odisseo, che piange il ritorno
guardando il mare, sulle rive dell’isola; Calipso gli concede a libertà di
partire dopo che si sia costruito una zattera per poter navigare fino ad Itaca.
Lui rabbrividisce per la gioia e la paura di un nuovo inganno, le fa quindi
giurare di non volere un suo male, di non tramare nulla contro di lui, e
giurando ribadisce di non avere un cuore di pietra, ma di carne e pieno di
compassione. Dopo essersi saziato di cibo, Calipso gli fa un’ultima offerta: se
fosse rimasto con lei, gli avrebbe concesso l’immortalità; ma per l’eroe è
meglio una vita breve ma vissuta con la donna che ama, rispetto ad una eterna
ma vuota. Il giorno seguente Odisseo inizia i preparativi per la partenza:
abbatte gli alberi con un’ascia, li spiana, li lega tra di loro costruendo una
zattera ampia con l’albero, il timone e la punta; lavora così velocemente che
dopo soli quattro giorni è già tutto pronto. Passata l’ultima notte d’amore con
la ninfa, lei lo riveste di preziose vesti, lo nutre e rifornisce di cibo, e
infine parte. Dopo una navigazione di diciassette giorni, Poseidone lo scopre
solcare le sue acque e, intuendo che ci fosse stato un intervento in suo aiuto
da parte degli altri dei, cresce in lui una profonda ira, che riversa in una tempesta
furiosa. Odisseo intravede in essa una sua prossima morte e, prima che la sua
zattera venisse immersa nei flutti e trasportata lontano, rimpiange di non
essere morto valorosamente e gloriosamente in battaglia, con gli altri Achei,
per la patria anziché da solo e miseramente; per la mentalità greca, infatti,
la morte in battaglia onorava per sempre la memoria di quel guerriero, unico
lascito che un uomo poteva lasciare nel mondo dei vivi, tutto il resto di lui
veniva perduto con la morte. Qui, per descrivere la violenza del mare, Omero
inserisce la prima similitudine del libro: come quando il vento autunnale della
Borea scuote le piantagioni dei cardi, così ora la barca veniva sospinta dai
venti marini. Arriva però un aiuto divino: Ino, ninfa immortale del mare, impietositasi,
gli consiglia di togliere le pesanti vesti donate da Calispo e gli dona un telo
magico, che avrebbe dovuto stendere sotto il petto. Il telo lo avrebbe fatto
restare in superficie, ma lui, essendo astuto, aspetta di fidarsi finché la
barca non si rompe ed è costretto ad avanzare a nuoto fino all’isola a lui
vicina. Qui la seconda similitudine sempre riferita all’impetuosità del vento
che rompe la bella zattera di Odisseo, sbattuta sulle onde come il vento che
agita un mucchio di grano e lo sparpaglia ovunque, così si disperdono i legni
della barca. È seguita subito dalla terza similitudine, che è riferita invece
ad Odisseo che brama di giungere alla terra che intravede, così agognante come
a due figli appare preziosa la vita del padre che, ammalato, giace sul letto in
fin di vita. Ma appena riesce a distinguere meglio la costa inorridisce poiché
essa è circondata da una fitta muraglia di scogli aguzzi; salvarsi sembra
impossibile soprattutto quando le onde lo sbattono sulle rocce appuntite, ma la
dea Atena gli infonde coraggio nell’animo ed Odisseo si tiene con tutte le
forze sullo scoglio, finché un’altra onda lo respinge al di là della barriera
rocciosa. La quarta similitudine descrive invece il modo doloroso con cui l’eroe
viene strappato dalle rocce come un polipo che viene strappato via dalla tana a
cui restano nelle ventose pezzi di roccia. Qui c’è l’invocazione più bella
riscontrata fin’ora, e nello stesso tempo più misteriosa: Ulisse invoca non un
dio della tradizione, non si riferisce a nessuna divinità in particolare (“Ascolta,
signore, chiunque tu sia!”). Con questa invocazione Omero esplicita con una sola espressione tutto il dramma degli
uomini nati prima di Cristo: l’assenza di Dio, un vuoto incolmabile che non
riesce ad essere riempito totalmente dagli dei immortali della tradizione, una
continua ricerca verso qualcosa di vero che compia l’uomo. Ulisse si rivolge
alla sola entità che ha il potere di salvarlo, ma che soprattutto si interessa
dell’uomo tanto da salvarlo dal male. Qualcosa di in sperimentabile prima dell’anno
zero. Infatti dopo questa richiesta, giunge finalmente alla desiderata
spiaggia, dove la sera lo coglie indeciso se restare sulla sabbia per la notte
o se rifugiarsi nella selva lì accanto. Nel primo caso sarebbe potuto morire di
freddo per la vicinanza con il mare e l’esposizione ai venti, nel secondo
avrebbe potuto diventare facilmente preda di una fiera, sceglie questa
sistemazione, poiché l’assideramento era assicurato, mentre l’incontro con un
animale solo una possibilità. Atena quindi gli versa sugli occhi un sonno
pesante.
è possibile avere il riassunto dell 8° cap.dell Odissea?
RispondiEliminagrazie
Bel riassunto,ma stai attenta alla punteggiatura...le persone potrebbero confondersi e capire cose invece che altre .Per il resto COMPLIMENTI!OTTIMO LINGUAGGIO (comprensibile a tutti !;)
RispondiEliminaBRAVA!:)
Sinceramente dovresti stare attento/a tu con la punteggiatura. Ti Correggo il commento:
Elimina"Bel riassunto, ma stai attenta alla punteggiatura... le persone potrebbero confondersi e capire cose invece che altre. Per il resto COMPLIMENTI! OTTIMO LINGUAGGIO (comprensibile a tutti!:) BRAVA! :)