TEMA : “In treno : nel tuo scompartimento
siede una donna anziana dall’aria dimessa e sofferente : la tua fantasia ti
suggerisce un racconto.
Sono sulla piattaforma del treno per New
York delle 11.00, penso agli zii che mi aspettano al numero 5 di Breiken Road
con una tazza di cioccolata calda e un bel letto comodo preparati per me. Sarà
un week end fantastico con loro!
È una giornata nebbiosa ne grigia, il mio
ombrello nero è bersagliato da mille gocce d’acqua che mi inzuppano le scarpe
pesanti e il mio impermeabile beige stretto alla vita da una cintura. La gente
mi spinge ovunque e, a stento, mi siedo in uno scompartimento quasi vuoto,
davanti a me c’è una signora anziana: i suoi capelli grigi le ricadono sulle
spalle sotto forma di un cespuglio scompigliato e non curato, ma mantengono un
bagliore argenteo pari a quello che, ogni tanto, le guizza negli occhi vitrei,
persi, sospettosi. Un pastrano scuro le ricopre un corpo un po’ tondo, troppo
grande per quelle mani esili e minute che, tra l’oscurità del treno, spiccano
bianche come un foglio e che, nervosamente, stringono un grosso fazzoletto
sporco e unticcio ma che ogni tanto mandava qualche bagliore. Cosa deve esserci
dentro? La mia fantasia vola ma, improvvisamente vengo interrotta da rumori
bruschi e delle urla che si fanno sentire all’inizio del vagone. L’anziana
signora scatta come una molla in piedi: pallida come un marmo. Il treno
rallenta quando la sessantenne si avvicina a me e mi sussurra tutto d’un fiato:
“Ventitrè Wall Street, sotto il nome
<< Jackins >>”, mi stringe
nelle mani il fazzoletto, il treno si ferma, la urla diventano più vicine, la
vecchia signora balza fuori dalla porta come una gazzella e scompare. Un
istante dopo entrarono nello scompartimento due signori sulla quarantina, uno
basso e l’altro uno spilungone: smoking nero e pistola in mano. Dallo spavento
il dono appena ricevuto mi cade dalle mani: il fazzoletto si apre mostrando un
orologio antico…è bellissimo! I due uomini spettatori della scena urlano
qualcosa e si dirigono verso di me con le pistole alzate (puntate), non ci
penso due volte: prendo l’orologio e scappo più veloce che posso.
La stazione è affollata: urla, risa…dove
mi posso nascondere? Corro ancora, poi mi volto: mi stanno inseguendo. Vado a
sbattere contro una porta, è il bagno delle donne: sono salva! Entro e chiudo
dietro di me la porta a chiave. Mi siedo su un gabinetto con la tavoletta
abbassata. Tolgo dalla tasca l’orologio: è tondo e si apre; è uno di quelli che
i gentiluomini antichi portavano nel taschino del panciotto. Al tatto è gelido,
ma l’oro massiccio di cui è fatto mi ispira una giornata di sole. Il coperchio
è accuratamente lavorato con decorazioni floreali e tutto è di una finezza tale
che sarebbe dovuto costare milioni di dollari. Iniziano a venirmi in mente
moltissime domande: chi era quella donna? Perché è scappata? Cosa vogliono quei
due loschi individui? Come…ma i miei pensieri vengono interrotti dal bussare
della porta…cosa faccio? Mi guardo intorno c’è una finestra abbastanza grande da lasciarmi
uscire; la apro e mi fiondo giù. Dove vado? Un rumore secco:stanno scardinando
la porta. Passa un taxi e con un fischio lo chiamo, giusto in tempo per non
farmi vedere.
“Scusi, dove siamo?” chiesi concitata
all’autista.
“Ma dove vivi? A Washington!”
“Che cosa??? Io devo andare a New York!
C’è un’altra stazione da cui partire?”
“Certo!”
La macchina parte rombando proprio quando
i due uomini escono dalla finestra: in lontananza li vedo fermare un altro taxi
e il sudore freddo mi bagna la fronte. La macchina sfreccia per le strade poco
affollate, dopo venti minuti siamo arrivati, pago il conducente e mi fiondo di
corsa dentro la stazione. Degli spari squarciano l’atmosfera ovattata che
ricopre l’aria. Sono morta, penso, se mi prendono sono morta! Un treno arriva
ad una piattaforma, leggo l’insegna: New York.
Le porte si aprono e corro dentro
sedendomi in uno scompartimento molto affollato, cercando di mimetizzarmi tra
la folla, “magari qui sono al sicuro”, penso tra me e, terrorizzata, mi guardo
intorno per un po’, finché la stanchezza non mi sopraffa e un agitato sonno mi
piomba, pesante, sugli occhi.
Una voce metallica mi sveglia
all’improvviso: “New York, stazione di New York”.
“Li ho seminati, non devo temere altro.”
L’oscurità sta calando lentamente sulla
famosa città americana: le luci degli alti grattacieli incominciano ad
accendersi puntinando il buio come tante stelle. Devono essere le 18.00 e
ripenso ai miei zii, alla cioccolata e al letto caldo, ma non mi scoraggio: Wall
Street è vicina. Percorro tre isolati a piedi, le insegne luminose dei negozi
mi colorano il viso delle sfumature più abbaglianti, ma io conosco questa città
e non mi faccio distrarre: ho passato un’intera estate tra queste strade l’anno
scorso insieme ai miei amici e con il passo sicuro mi dirigo verso il numero 23
… ancora qualche metro.
Sono davanti ad un edificio grigio,
malandato: il numero 23. Il palo della luce non funziona e nessuna insegna
illumina la casa sinistra. A stento, tra le tante cassette postali, scorgo
“Jeckins”. Allungo la mano e mi fermo a mezz’aria: che cosa sto facendo? Perché
lo sto facendo? Dove ho già sentito questo nome?
Un urlo:”Ferma!”. Mani pesanti mi
scaraventano a terra e mi bloccano i movomenti.
“Per chi lavori? Diccelo!” Sono morta, i
due uomini mi hanno raggiunta.
“Parla!”
“Per nessuno! Ho incontrato una vecchia
sul treno e mi ha chiesto di portare l’orologio qui. Non ve lo darò, ladri!”
“Siamo agenti della CIA e quell’orologio
è stato<rubato da un museo d’antiquariato, ha un valore immenso e qui credo
che il ladro sia tu”.
“No, vi sbagliate! È la vecchia signora
la ladra! Andate a controllare in questo edificio, è sotto in nome Jeckins!”
Uno dei due lascia la presa.
“Jeckins?! L’esperta ladra di gioielli?
John, io vado a vedere, tu tienila d’occhio”.
“Stai attento”. Dopo un cenno l’uomo più
alto si dilegua nell’edificio. Io tremo come una foglia, mille dubbi mi
assalgono: e se non fosse stata lì? Cosa sarebbe successo di me?
Dieci minuti di terrore, poi rumori
remoti e infine un urlo di gioia:”John molla la ragazza: l’abbiamo presa! Abbiamo
preso Jackins!”.
Già dopo “molla la ragazza” il mio cuore
ricominciava a battere normalmente. L’agente basso mi aiuta a rialzarmi e si
scusa per il placcaggio, io sorrido e, vedendo la “vecchia” con una maschera in
mano e che mostrava il fisico energico e scattante di una ventenne, quale è, e
che viene buttata nell’auto scura degli agenti, penso tra me: “Lo diceva la zia
che le apparenze ingannano” e mentre mi incammino verso il numero 5 di Breken
Road gli agenti mi ringraziano da dietro il finestrino. Tiro un sospiro di
sollievo, ora è veramente tutto finito e finalmente potrò gustarmi la
cioccolata calda e il meritato riposo.
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