TRIESTE
Ho attraversata tutta la città
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.
Triestre ha una scontrosa
grazia. Se piace
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalarti un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
Scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
Circola ad ogni cosa
Un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
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CITTA’ VECCHIA
Spesso, per ritornare alla mia casa
Prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
Qualche fanale, e affollata è la strada.
Qui tra la gente che viene e che va
Dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci e uomini il detrito
di un gran porto di mare,
i
o trovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
Che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
son tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento in compagnia
Il mio pensiero farsi
Più puro ove
più turpe è la via
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PRIMA LETTURA
Umberto
Poli (con lo pseudonimo di Umberto Saba) descrive con queste due poesie la
propria città natia e i propri sentimenti per quest’ultima: il poeta era
attratto e contemporaneamente respinto dalla sua città Trieste e, attraverso la
sua descrizione, descrive se stesso.
SECONDA / TERZA LETTURA
Le
due poesie sono formate da tre strofe di cui la seconda è prolungata e l’ultima
è molto breve. I versi variano da endecasillabi a settenari e la rima è sparsa,
a volte baciata e a volte alternata; è interessante vedere che nella poesia
“Città vecchia” ha fatto rimare le parole: lupanare, mare; detrito, infinito; friggitore,
amore, dolore, Signore. Si può notare che ha fatto rimare una parola che
rappresenta una cosa quotidiana e una parola aulica facendoci così capire che
anche nella quotidianità, banalità e semplicità di un friggitore noi possiamo
trovare l’amore, il dolore e il Signore, come possiamo trovare l’infinito in un
detrito; se per esempio prendiamo il terremoto di Haiti, la gente trovava in
quei detriti del terremoto i resti della felicità della casa e della
fraternità.
Il
poeta nella poesia “Città vecchia” usa un lessico quotidiano come “lupanare”,
“dragone”o “bega” sia per farci immaginare di essere anche noi a Trieste
(questo si può vedere anche con la ripetizione di “qui”) sia per far capire che
anche se ci sono cose brutte, come le prostitute o il marinaio che bestemmia,
lui trova l’umiltà dell’infinito. Infatti l’ultima strofa sottolinea proprio
che lui si sente più a suo agio e più se stesso tra gli umili, anche se ha ripreso
comunque questo contrasto tra l’odio e l’amore di questa città con un’antitesi
all’inizio: oscura via↔giallo di qualche fanale.
Mentre
nella poesia “Città vecchia” Saba descrive più le sue emozioni, nella poesia
“Trieste” descrive la città dall’alto di una rupe, e non più dalla via turpe.
Questa poesia descrive anche il contrasto tra i sentimenti vivi nell’autore che
risaltano nelle quattro antitesi: popolosa↔deserta; scontrosa↔grazia;
amore↔gelosia e aria tormentosa↔aria natia. “Trieste” presenta un climax
discendente che parte dalla città (parola che viene ripetuta molto spesso) e
arriva fino alla descrizione di una casa con il ringraziamento dell’autore
rivolta alla città per avergli lasciato un angolino, come se il poeta ci
volesse far conoscere Trieste dalla sua esteriorità fino al suo cuore e a
quello che è veramente, infatti l’uso della parola “scopro” nella seconda
strofa ci fa rimanere incerti perché quella era la città dove era nato, quindi
la conosceva, ma lui vuole immedesimarsi nel lettore e vuole condurlo a
scoprire che Trieste è una bellissima città esteriormente ma che non ti può
donare nulla e perciò la paragona ad un ragazzaccio bellissimo che ha mani
troppo grandi per donarti un fiore.
Possiamo
scoprire con i numerosi enjambement che Umberto Saba si sentiva solo, per
questo tende a isolare le parole importanti come appunto la parola “solo” nella
prima strofa, “scontrosa”,“intorno” e “tormentosa” nella seconda, “vita” nella
terza.
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