-
Mito del carro alato (spiega come è fatta l’anima umana)
» originariamente l’anima viveva
presso gli dei, in comunione e condivisione con le Idee
» cade nel corpo sulla terra
per una colpa originaria (ripresa della cultura orfica)
» anima è come un carro alato,
in cui emerge una tripartizione dell’anima
1. auriga » simboleggia la ragione umana
2. cavallo bianco » è quello di razza pura, mansueto, buono, facile da
comandare
» rappresenta la
parte concupiscibile dell’uomo
3. cavallo nero » è quello di cattiva razza, cattivo, testardo, che
va dove gli pare
» rappresenta la
parte irascibile dell’uomo, attaccata alla materia, istintiva
» dei hanno una biga con due
cavalli della stessa razza, pura, perfetta, buona (anime perfette)
» la guida della pariglia
alata per gli uomini è più difficile perché l’auriga deve essere in
grado di
dare retta ad entrambi i
cavalli e nello stesso tempo riuscire a vedere il più possibile le Idee
» morto il corpo, l’anima si eleva al
cielo come un carro alato, e seguono i carri degli dei
» dopo un tragitto volando per le
strade del cielo per arrivare con gli dei fino alla sua sommità per
contemplare il mondo dell’Iperuranio
(cioè la pianura della verità, come dice Platone)
» arrivati ad una salita,
le anime che non riescono a governare il cavallo nero, che spinge verso il
basso, contrapposto a quello
bianco che spinge verso l’alto, si ammassano e azzuffano per
risalire, ma poi ricadono
sulla terra aggrappandosi di nuovo a corpi materiali
» il cavallo nero delle anime
moralmente più perfette è più governabile; contemplano meglio e per
più tempo le Idee, determinando così il
tenore di vita successiva, della prossima incarnazione
» nel Fedro Platone ci precisa che
le anime che per tre vite consecutive hanno vissuto secondo la
filosofia, godono di una sorte
privilegiata, restando tremila anni presso un luogo nell’Iperuranio,
però diverso da quello in cui
le anime vivono con gli dei
Fedro,
246 a-249d
1 [246 a] [...] Dell’immortalità dell’anima
s’è parlato abbastanza, ma quanto alla sua natura c’è
questo
che dobbiamo dire: definire quale essa sia, sarebbe una trattazione che
assolutamente solo un
dio
potrebbe fare e anche lunga, ma parlarne secondo immagini è impresa umana e piú breve.
Questo
sia dunque il modo del nostro discorso. Si raffiguri l’anima come la potenza
d’insieme di
una
pariglia alata e di un auriga. Ora tutti i corsieri degli dèi e i loro aurighi [b]
sono buoni e di
buona
razza, ma quelli degli altri esseri sono un po’ sí e un po’ no. Innanzitutto, per
noi uomini,
l’auriga
conduce la pariglia; poi dei due corsieri uno è nobile e buono, e di buona
razza, mentre
l’altro
è tutto il contrario ed è di razza opposta. Di qui consegue che, nel nostro
caso, il compito di
tal
guida è davvero difficile e penoso. Ed ora bisogna spiegare come gli esseri
viventi siano
chiamati
mortali e immortali. Tutto ciò che è anima si prende cura di ciò che è
inanimato, e penetra
per
l’intero universo assumendo secondo i luoghi forme [c] sempre differenti. Cosí,
quando sia
perfetta
ed alata, l’anima spazia nell’alto e governa il mondo; ma quando un’anima perde
le ali, essa
precipita
fino a che non s’appiglia a qualcosa di solido, dove si accasa, e assume un
corpo di terra
che
sembra si muova da solo, per merito della potenza dell’anima. Questa composita
struttura
d’anima
e di corpo fu chiamata essere vivente, e poi definita mortale. La definizione
di immortale
invece
non è data da alcun argomento razionale; però noi ci preformiamo il dio, [d] senza
averlo
mai
visto né pienamente compreso, come un certo essere immortale completo di anima
e di corpo
eternamente
connessi in un’unica natura. Ma qui giunti, si pensi di tali questioni e se ne
parli come
è
gradimento del dio. Noi veniamo a esaminare il perché della caduta delle ali
ond’esse si staccano
dall’anima.
Ed è press’a poco in questo modo.
2 La funzione naturale dell’ala è di
sollevare ciò che è peso e di innalzarlo
là dove dimora la
comunità
degli dèi; e in qualche modo essa partecipa del divino piú delle altre cose che hanno
attinenza
con il corpo. Il divino è [e] bellezza, sapienza, bontà ed ogni altra virtú affine.
Ora,
proprio
di queste cose si nutre e si arricchisce
l’ala dell’anima, mentre dalla turpitudine, dalla
malvagità
e da altri vizi, si corrompe e si perde. Ed eccoti Zeus, il potente sovrano del
cielo,
guidando
la pariglia alata, per primo procede, ed ordina ogni cosa provvedendo a tutto. A
lui vien
dietro
l’esercito degli dèi e dei demoni ordinato in undici [267 a] schiere: Estia
rimane sola nella
casa
degli dèi. Quanto agli altri, tutti gli dèi, che nel numero di dodici sono
stati designati come
capi,
conducono le loro schiere, ciascuno quella alla quale è stato assegnato. Varie
e venerabili sono
le
visioni e le evoluzioni che la felice comunità degli dèi disegna nel cielo con
l’adempiere ognuno
di
essi il loro compito. Con loro vanno solo quelli che lo vogliono e che possono,
perché l’Invidia
non
ha posto nel coro divino. Ma, eccoti, quando si recano ai loro banchetti e
festini, salgono [b] per
l’erta
che mena alla sommità della volta celeste; ed è agevole ascesa perché per le
pariglie degli dèi
sono
bene equilibrate e i corsieri docili alle redini; mentre per gli altri l’ascesa
è faticosa, perché il
cavallo
maligno fa peso, e tira verso terra premendo l’auriga che non l’abbia bene
addestrato. Qui si
prepara
la grande fatica e la prova suprema dell’anima. Perché le anime che sono
chiamate
immortali,
quando sian giunte al sommo della volta celeste, si spandono fuori e si librano
sopra il
dorso
del cielo: e l’orbitare del cielo le trae attorno, cosí librate, ed esse [c] contemplano
quanto sta
fuori
del cielo.
3 Questo sopraceleste sito nessuno dei poeti
di quaggiú ha cantato, né mai canterà degnamente.
Ma
questo ne è il modo, perché bisogna pure avere il coraggio di dire la verità
soprattutto quando il
discorso
riguarda la verità stessa. In questo sito dimora quella essenza incolore, informe
ed
intangibile,
contemplabile solo dall’intelletto, pilota dell’anima, quella essenza che è
scaturigine
della
[d] vera scienza. Ora il pensiero divino è nutrito d’intelligenza e di pura
scienza, cosí anche il pensiero di ogni altra anima cui prema di attingere ciò
che le è proprio; per cui, quando finalmente
esso
mira l’essere, ne gode, e contemplando la verità si nutre e sta bene, fino a
che la rivoluzione
circolare
non riconduca l’anima al medesimo punto. Durante questo periplo essa contempla
la
giustizia
in sé, vede la temperanza, e contempla
la scienza, ma non quella [e] che è legata al
divenire,
né quella che varia nei diversi enti che noi chiamiamo esseri, ma quella
scienza che è
nell’essere
che veramente è. E quando essa ha contemplato del pari gli altri veri esseri e
se ne è
cibata,
s’immerge di nuovo nel mezzo del cielo e scende a casa: ed essendo cosí giunta,
il suo
auriga
riconduce i cavalli alla greppia e li governa con ambrosia e in piú li abbevera
di nettare.
4 [248 a] Questa è la vita degli dèi. Ma fra
le altre anime, quella che meglio sia riuscita a tenersi
stretta
alle orme di un dio e ad assomigliarvi, eleva il capo del suo auriga nella regione
superceleste,
ed
è trascinata intorno con gli dèi nel giro di rivoluzione; ma essendo
travagliata dai suoi corsieri,
contempla
a fatica le realtà che sono. Ma un’altra anima ora eleva il capo ora lo abbassa,
e subendo
la
violenza dei corsieri parte di quelle realtà vede, ma parte no. Ed eccoti, seguono
le altre tutte
agognanti
quell’altezza, ma poiché non ne hanno la forza, sommerse, sono spinte qua e là
e
cadendosi
addosso si calpestano a vicenda nello sforzo di sopravanzarsi l’un l’atra. Ne
conseguono
[b]
scompiglio, risse ed estenuanti fatiche, e per l’inettitudine dell’auriga molte
rimangono sciancate
e
molte ne hanno infrante le ali. Tutte poi, stremate dallo sforzo, se ne
dipartono senza aver goduto
la
visione dell’essere e, come se ne sono allontanate, si cibano dell’opinione. La
vera ragione per
cui
le anime si affannano tanto per scoprire dove sia la Pianura della Verità è che
lí in quel prato si
trova
il pascolo congeniale alla parte
migliore dell’anima [c] e che di questo si nutre la natura
dell’ala,
onde l’anima può alzarsi. Ed ecco la legge di Adrastea. Qualunque anima, trovandosi
a
seguito
di un dio, abbia contemplato qualche verità, fino al prossimo periplo rimane
intocca da
dolori,
e se sarà in grado di far sempre lo stesso, rimarrà immune da mali. Ma quando
l’anima,
impotente
a seguire questo volo, non scopra nulla della verità, quando, in conseguenza di
qualche
disgrazia,
divenuta gravida di smemoratezza e di vizio, si appesantisca, e per colpa di
questo peso
perda
le ali e precipiti a terra, allora la legge vuole che questa anima non si
trapianti in alcuna natura
ferina
[d] durante la prima generazione; ma prescrive che quella fra le anime che piú
abbia veduto si
trapianti
in un seme d’uomo destinato a divenire un ricercatore della sapienza e del
bello o un
musico,
o un esperto d’amore; che l’anima, seconda alla prima nella visione dell’essere
s’incarni in
un
re rispettoso della legge, esperto di guerra e capace di buon governo; che la
terza si trapianti in
un
uomo di stato, o in un esperto d’affari o di finanze; che la quarta scenda in
un atleta incline alle
fatiche,
o in un medico; che la [e] quinta abbia una vita da indovino o da iniziato; che
alla sesta le si
adatti
un poeta o un altro artista d’arti imitative, alla settima un operaio o un
contadino, all’ottava
un
sofista o un demagogo, e alla nona un tiranno.
5 Ora, fra tutti costoro, chi abbia vissuto
con giustizia riceve in cambio una sorte migliore e chi
senza
giustizia, una sorte peggiore. Ché ciascuna anima non ritorna al luogo stesso
da cui era partita
prima
di diecimila anni – giacché non mette ali in un tempo minore – tranne [249 a] l’anima
di chi
ha
perseguito con convinzione la sapienza, o di chi ha amato i giovani secondo
quella sapienza. Tali
anime,
se durante tre periodi di un millennio hanno scelto, sempre di seguito, questa
vita filosofica,
riacquistano
per conseguenza le ali e se ne dipartono al termine del terzo millennio. Ma le
altre,
quando
abbiano compiuto la loro prima vita, vengono a giudizio, e dopo il giudizio, alcune
scontano
la
pena nelle prigioni sotterranee, altre, alzate dalla Giustizia in qualche sito
celeste, ci vivono cosí
come
hanno meritato dalla loro vita, passata in forma umana. [b] Allo scadere del
millennio,
entrambe
le schiere giungono al sorteggio e alla scelta della seconda vita; ciascuna
anima sceglie
secondo
il proprio volere: è qui che un’anima può passare in una vita ferina e l’anima
di una bestia
che
una volta sia stata in un uomo può ritornare in un uomo. Giacché l’anima che
non abbia mai
visto
la verità non giungerà mai a questa nostra forma. Perché bisogna che l’uomo
comprenda ciò
che
si chiama Idea, passando da una molteplicità
di sensazioni ad una unità organizzata dal [c]
ragionamento.
Questa comprensione è reminiscenza delle
verità che una volta l’anima nostra ha veduto, quando trasvolava al seguito
d’un dio, e dall’alto piegava gli occhi verso quelle cose che ora
chiamiamo
esistenti, e levava il capo verso ciò che veramente è. Proprio per questo è
giusto che
solo
il pensiero del filosofo sia alato, perché per quanto gli è possibile sempre è
fisso sul ricordo di
quegli
oggetti, per la cui contemplazione la divinità è divina. Cosí se un uomo usa
giustamente tali
ricordi
e si inizia di continuo ai perfetti misteri, diviene, egli solo, veramente
perfetto; e [d] poiché
si
allontana dalle faccende umane, e si svolge al divino, è accusato dal volgo di
essere fuori di sé,
ma
il volgo non sa che egli è posseduto dalla divinità. [...]
Nessun commento:
Posta un commento