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domenica 15 settembre 2013

IL RAPPORTO TRA UOMO E NATURA - mondo greco e mondo latino

Analizza un aspetto della cultura greca e latina.

L’uomo è l’unica creatura sulla terra capace di avere coscienza e di apprezzare la natura della realtà che lo circonda; è dunque l’unico essere vivente che può mantenere un equilibrato rapporto di cambiamento reciproco con la natura, in quanto l’uomo modifica la natura alle sue esigenze, e la natura modifica l’etica, la ragione, la fede, il modo di comunicare dell’uomo.
Una mostra del Meeting di Rimini per L’amicizia Tra i Popoli di quest’estate si intitolava: “Naturale, artificiale, coltivato. L’antico dialogo dell’uomo con la natura.” La tesi di questo tema è affine allo scopo della mostra del Meeting per il fatto che partono entrambi da quel dialogo dell’uomo con la natura, qui però sviluppato non nel suo contributo materiale e pratico, ma in quanto facente parte della vita quotidiana umana, antica come contemporanea, e approfondito nel suo apporto modificatore del pensiero umano, della sua concezione della realtà e del rapporto con essa.
Nel mondo greco chiunque, senza distinzione né di censo, né di cittadinanza, né di sesso ha piena coscienza che la realtà non è fine a se stessa, ma segno di un rapporto con il divino, contenente un messaggio per l’uomo. La natura è dunque mezzo di comunicazione tra uomo e divinità, come un ponte attraverso cui l’uomo può costruire un rapporto con il divino: per esempio un premio per la sua fede nell’abbondanza dei raccolti, oppure la punizione per una cattiva condotta in carestie.
La comunicazione con la divinità attraverso la natura è un tema portante nella letteratura greca, come viene testimoniato nella saga tebana dalla pestilenza che si abbatte su tutta la popolazione, e che ricorre nel momento in cui viene compiuto un atto immorale e contro natura, come per esempio il matrimonio tra madre e figlio, quali Giocasta ed Edipo. Un secondo riferimento letterario è contenuto nella stessa Iliade dove, all’inizio del secondo libro, la pestilenza che si abbatte sugli Achei già stremati dalla battaglia viene interpretata in modo completamente esplicito come un intervento divino, la punizione di Apollo per l’affronto di Agamennone nei confronti di Crise, uno dei suoi sacerdoti, e il mancato rispetto di un anziano. La presenza di questo modo di osservare il reale nella narrazione è segno di una caratteristica radicata nella società greca, di un luogo comune, dato che una particolarità della letteratura è quella di riassumere e valorizzare gli aspetti della società in cui l’autore vive.
Questa concezione viene confermata anche dalla stessa religione tradizionale, nella quale i sacerdoti, gli indovini, gli oracoli e gli auguri hanno un ruolo fondamentale in quanto intermediari ed interpreti a loro volta del messaggio divino che passa attraverso la realtà. Per esempio gli auguri interpretavano il volo degli uccelli come portatori di un significato più grande che riguardava la vita dell’uomo.
La natura ha influenzato il mondo greco soprattutto nell’uso della ragione, per il fatto che la sua osservazione fu ciò che ha permesso la nascita della filosofia, cioè quell’enorme patrimonio culturale ed umano che è stato tramandato nei secoli fino ad oggi. Guardando la realtà, l’uomo si è chiesto da chi fu creata, come si è generata, da che cosa è costituita, come è possibile l’esistenza della vita e che cosa la permette, cioè qual è il principio primo che regge tutte le cose. I primi filosofi, i naturalisti, appunto, sono coloro che si sono lasciati stupire ed interrogare dalla realtà come fonte di conoscenza e di scoperta a completa disposizione dell’uomo soltanto. Talete, il primo filosofo della storia, riassume il principio di tutta la realtà nell’elemento dell’acqua, deducendolo dall’osservazione che la vita è permessa là dove è possibile l’idratazione. Anassimene ed Eraclito, ne sono altri esempi, sebbene abbiano sviluppato ragionamenti differenti. Gli stessi Pitagorici, nella loro maggiore astrazione, riescono a cogliere nella realtà quella perfezione matematica che permea la natura, e che farà nascere nel cuore dei Greci la tensione alla perfezione personale; ciò è chiaro anche nell’arte, permeata da una ricerca continua della forma migliore per esprimere quell’ordine perfetto che era presente in natura, attraverso l’applicazione di una legge, sia nell’architettura che nell’arte plastica. La filosofia e l’arte sono quindi una chiara testimonianza di come la natura ha avuto un ruolo importante nella storia dell’uomo, nella modalità di affronto e di coscienza di ciò che lo circonda, perché i Greci si sono lasciati interrogare dalla realtà, vista come modello per il miglioramento personale verso la perfezione.
In questo senso si capisce la concezione tipicamente greca, base della società, per cui la bellezza è necessariamente legata alla bontà (καλός καὶ ἀγαθός), perché ciò che è bello viene considerato frutto di una benevolenza degli dei, rientra nell’idea di ordine, dalla quale si origina l’idea di bene.
Il mondo latino accoglie nella sua cultura e nella sua dimensione questa visione della natura, testimoniando con questo stesso fatto un proprio specifico approccio alla realtà. Questa simpatia viene chiamata eclettismo, cioè l’apertura mentale a ciò che è nuovo, un approccio simpatizzante ma razionale con ciò che è diverso ed esterno da sé, che viene visto come risorsa, come fonte di bene per sé.
L’eclettismo è ciò che permea, e soprattutto da cui nasce la storia dell’arte romana, che ingloba quella greca selezionandola o modificandola secondo la propria cultura, la propria tradizione e corrispondenza, come mostrano i pastìs, ovvero manufatti di statue diverse che vengono unite per scopi celebrativi; vengono per esempio presi i corpi di statue greche di Venere e Marte collocando al posto della loro testa quella di due patrizi romani. Ciò mostra una diversa concezione di bellezza, che non deriva più dall’ordine, ma dall’utilità, e una nuova visione più pragmatica della realtà, da cui deriva la concezione che la natura è rapporto con il divino in quanto fornisce ciò che serve all’uomo per il suo sostentamento, e la coscienza che la realtà è un dono.
Tanto nell’arte quanto nella letteratura romana è evidente come la realtà diventa spunto per intraprendere una strada nuova e personale, scintilla per una ricreazione. Il tema del rapporto con la natura è d’ispirazione greca, e la sua frequenza, sebbene ridotta e differente, indica un modo simile di lettura della realtà.
Un primo aspetto che viene preso e sviluppato dai romani è il legame tra l’uomo e la realtà, in quanto la natura del mondo diventa raffigurativa e specchio della natura dell’uomo e viceversa. In letteratura si può vedere nell’Eneide, in cui viene descritta un’impetuosa tempesta come premonizione di una catastrofe, la morte di Didone, e come segno del concetto di amore della stessa regina: una passione travolgente e furiosa che spazza via tutto il resto. Nell’arte ciò viene testimoniato al contrario, cioè l’uomo come segno che rimanda alla natura, per esempio dalla Saturnia Tellis, la personificazione della fertilità e generosità della terra in una donna florida, che occupa una sezione dell’Ara pacis.
Un secondo aspetto che viene conservato ed approfondito dai Latini è la visione della realtà come rimando ad un rapporto con il divino; Virgilio è colui che maggiormente esprime ciò e valorizza il rapporto con la natura, raffigurata come segno, non esplicito come nell’Iliade, ma più velato, di qualcosa d’altro. Nell’episodio di Laocoonte narrato nell’Eneide, per esempio, è evidende il ruolo della natura come segno dell’intervento divino, che l’uomo si ritrova però a dover interpretare, non avendo un modello di riferimento ed una guida; nel poema, infatti, la popolazione troiana verrà devastata per aver inteso in modo sbagliato il prodigio dei serpenti. Un altro esempio di questo specchio di qualcosa d’altro che è la realtà, è fortemente marcato nella quarta ecloga delle Bucoliche, in cui nella generosità, nella fertilità, nella bellezza incommensurabile della natura viene in realtà descritto come sarebbe il mondo se nascesse quel bimbo che avrebbe salvato tutta l’umanità dal male che è intrinseco nel cuore umano, da cui deriva invece una natura difficile da domare, che obbliga l’uomo alla fatica per il proprio sostentamento.
Lo stesso Virgilio dà un altro grande contributo alla coscienza latina della posizione dell’uomo di fronte alla realtà, raffigurandola nelle Georgiche come totalmente positiva, perché, anche nella sua durezza e nel dolore, non è ingiusta. L’ingiustizia della posizione dell’uomo nella realtà deriva dalla sua impotenza di fronte al male, alla fatica ed al dolore che non può impedire, ma la visione che propone Virgilio fa emergere un altro punto di vista, che indirizza lo sguardo sull’uomo, che è stato dotato delle forze necessarie per affrontare quello stesso male, fatica e dolore. L’uomo è capace di stare davanti alla realtà, mentre la concezione greca tendeva ad accettare l’ingiustizia, la sventura, la sottomissione affidando agli dei, al Caso, alla Necessità, all’Intelligenza parte della colpa di ciò che accade.

Ancora oggi l’uomo e la natura coesistono in un rapporto equilibrato di interscambio. A mio parere, il fatto che l’uomo ha messo recentemente a rischio l’equilibrio di questo rapporto, modificando oltre misura la natura, ha aumentato la consapevolezza dell’uomo davanti ad essa, permettendo che ne comprendesse la preziosità e la sua ricchezza. D’altra parte però, si è persa la coscienza che avevano i filosofi greci nel lasciarsi interrogare da essa, nel chiedersi chi permette che questo continuo miracolo avvenga, poiché, ottenebrati dalla scoperta delle nostre capacità, ci siamo dimenticati che la realtà non è un’opera delle nostre mani.

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