Analizza un aspetto della cultura greca e latina.
L’uomo è l’unica creatura sulla
terra capace di avere coscienza e di apprezzare la natura della realtà che lo
circonda; è dunque l’unico essere vivente che può mantenere un equilibrato rapporto
di cambiamento reciproco con la natura, in quanto l’uomo modifica la natura
alle sue esigenze, e la natura modifica l’etica, la ragione, la fede, il modo
di comunicare dell’uomo.
Una mostra del Meeting di
Rimini per L’amicizia Tra i Popoli di quest’estate si intitolava: “Naturale,
artificiale, coltivato. L’antico dialogo dell’uomo con la natura.” La tesi di
questo tema è affine allo scopo della mostra del Meeting per il fatto che partono
entrambi da quel dialogo dell’uomo con la natura, qui però sviluppato
non nel suo contributo materiale e pratico, ma in quanto facente parte della
vita quotidiana umana, antica come contemporanea, e approfondito nel suo
apporto modificatore del pensiero umano, della sua concezione della realtà e del
rapporto con essa.
Nel mondo greco chiunque,
senza distinzione né di censo, né di cittadinanza, né di sesso ha piena
coscienza che la realtà non è fine a se stessa, ma segno di un rapporto con il
divino, contenente un messaggio per l’uomo. La natura è dunque mezzo di
comunicazione tra uomo e divinità, come un ponte attraverso cui l’uomo può
costruire un rapporto con il divino: per esempio un premio per la sua fede
nell’abbondanza dei raccolti, oppure la punizione per una cattiva condotta in
carestie.
La comunicazione con la
divinità attraverso la natura è un tema portante nella letteratura greca, come
viene testimoniato nella saga tebana dalla pestilenza che si abbatte su tutta
la popolazione, e che ricorre nel momento in cui viene compiuto un atto
immorale e contro natura, come per esempio il matrimonio tra madre e figlio,
quali Giocasta ed Edipo. Un secondo riferimento letterario è contenuto nella
stessa Iliade dove, all’inizio del secondo libro, la pestilenza che si abbatte
sugli Achei già stremati dalla battaglia viene interpretata in modo
completamente esplicito come un intervento divino, la punizione di Apollo per
l’affronto di Agamennone nei confronti di Crise, uno dei suoi sacerdoti, e il
mancato rispetto di un anziano. La presenza di questo modo di osservare il
reale nella narrazione è segno di una caratteristica radicata nella società
greca, di un luogo comune, dato che una particolarità della letteratura è
quella di riassumere e valorizzare gli aspetti della società in cui l’autore
vive.
Questa concezione viene
confermata anche dalla stessa religione tradizionale, nella quale i sacerdoti,
gli indovini, gli oracoli e gli auguri hanno un ruolo fondamentale in quanto
intermediari ed interpreti a loro volta del messaggio divino che passa
attraverso la realtà. Per esempio gli auguri interpretavano il volo degli
uccelli come portatori di un significato più grande che riguardava la vita
dell’uomo.
La natura ha influenzato il
mondo greco soprattutto nell’uso della ragione, per il fatto che la sua osservazione
fu ciò che ha permesso la nascita della filosofia, cioè quell’enorme patrimonio
culturale ed umano che è stato tramandato nei secoli fino ad oggi. Guardando la
realtà, l’uomo si è chiesto da chi fu creata, come si è generata, da che cosa è
costituita, come è possibile l’esistenza della vita e che cosa la permette,
cioè qual è il principio primo che regge tutte le cose. I primi filosofi, i
naturalisti, appunto, sono coloro che si sono lasciati stupire ed interrogare
dalla realtà come fonte di conoscenza e di scoperta a completa disposizione
dell’uomo soltanto. Talete, il primo filosofo della storia, riassume il
principio di tutta la realtà nell’elemento dell’acqua, deducendolo
dall’osservazione che la vita è permessa là dove è possibile l’idratazione. Anassimene
ed Eraclito, ne sono altri esempi, sebbene abbiano sviluppato ragionamenti
differenti. Gli stessi Pitagorici, nella loro maggiore astrazione, riescono a
cogliere nella realtà quella perfezione matematica che permea la natura, e che
farà nascere nel cuore dei Greci la tensione alla perfezione personale; ciò è
chiaro anche nell’arte, permeata da una ricerca continua della forma migliore
per esprimere quell’ordine perfetto che era presente in natura, attraverso
l’applicazione di una legge, sia nell’architettura che nell’arte plastica. La
filosofia e l’arte sono quindi una chiara testimonianza di come la natura ha
avuto un ruolo importante nella storia dell’uomo, nella modalità di affronto e
di coscienza di ciò che lo circonda, perché i Greci si sono lasciati
interrogare dalla realtà, vista come modello per il miglioramento personale
verso la perfezione.
In questo senso si capisce la
concezione tipicamente greca, base della società, per cui la bellezza è
necessariamente legata alla bontà (καλός καὶ ἀγαθός), perché ciò che è bello
viene considerato frutto di una benevolenza degli dei, rientra nell’idea di
ordine, dalla quale si origina l’idea di bene.
Il mondo latino accoglie
nella sua cultura e nella sua dimensione questa visione della natura,
testimoniando con questo stesso fatto un proprio specifico approccio alla
realtà. Questa simpatia viene chiamata eclettismo, cioè l’apertura mentale a
ciò che è nuovo, un approccio simpatizzante ma razionale con ciò che è diverso
ed esterno da sé, che viene visto come risorsa, come fonte di bene per sé.
L’eclettismo è ciò che
permea, e soprattutto da cui nasce la storia dell’arte romana, che ingloba
quella greca selezionandola o modificandola secondo la propria cultura, la
propria tradizione e corrispondenza, come mostrano i pastìs, ovvero manufatti
di statue diverse che vengono unite per scopi celebrativi; vengono per esempio
presi i corpi di statue greche di Venere e Marte collocando al posto della loro
testa quella di due patrizi romani. Ciò mostra una diversa concezione di
bellezza, che non deriva più dall’ordine, ma dall’utilità, e una nuova visione
più pragmatica della realtà, da cui deriva la concezione che la natura è
rapporto con il divino in quanto fornisce ciò che serve all’uomo per il suo
sostentamento, e la coscienza che la realtà è un dono.
Tanto nell’arte quanto nella
letteratura romana è evidente come la realtà diventa spunto per intraprendere
una strada nuova e personale, scintilla per una ricreazione. Il tema del
rapporto con la natura è d’ispirazione greca, e la sua frequenza, sebbene
ridotta e differente, indica un modo simile di lettura della realtà.
Un primo aspetto che viene
preso e sviluppato dai romani è il legame tra l’uomo e la realtà, in quanto la natura
del mondo diventa raffigurativa e specchio della natura dell’uomo e viceversa.
In letteratura si può vedere nell’Eneide, in cui viene descritta un’impetuosa tempesta
come premonizione di una catastrofe, la morte di Didone, e come segno del
concetto di amore della stessa regina: una passione travolgente e furiosa che
spazza via tutto il resto. Nell’arte ciò viene testimoniato al contrario, cioè
l’uomo come segno che rimanda alla natura, per esempio dalla Saturnia Tellis,
la personificazione della fertilità e generosità della terra in una donna
florida, che occupa una sezione dell’Ara pacis.
Un secondo aspetto che viene
conservato ed approfondito dai Latini è la visione della realtà come rimando ad
un rapporto con il divino; Virgilio è colui che maggiormente esprime ciò e valorizza
il rapporto con la natura, raffigurata come segno, non esplicito come
nell’Iliade, ma più velato, di qualcosa d’altro. Nell’episodio di Laocoonte narrato
nell’Eneide, per esempio, è evidende il ruolo della natura come segno
dell’intervento divino, che l’uomo si ritrova però a dover interpretare, non avendo
un modello di riferimento ed una guida; nel poema, infatti, la popolazione
troiana verrà devastata per aver inteso in modo sbagliato il prodigio dei
serpenti. Un altro esempio di questo specchio di qualcosa d’altro che è la realtà,
è fortemente marcato nella quarta ecloga delle Bucoliche, in cui nella
generosità, nella fertilità, nella bellezza incommensurabile della natura viene
in realtà descritto come sarebbe il mondo se nascesse quel bimbo che avrebbe
salvato tutta l’umanità dal male che è intrinseco nel cuore umano, da cui
deriva invece una natura difficile da domare, che obbliga l’uomo alla fatica
per il proprio sostentamento.
Lo stesso Virgilio dà un
altro grande contributo alla coscienza latina della posizione dell’uomo di
fronte alla realtà, raffigurandola nelle Georgiche come totalmente positiva,
perché, anche nella sua durezza e nel dolore, non è ingiusta. L’ingiustizia
della posizione dell’uomo nella realtà deriva dalla sua impotenza di fronte al
male, alla fatica ed al dolore che non può impedire, ma la visione che propone
Virgilio fa emergere un altro punto di vista, che indirizza lo sguardo sull’uomo,
che è stato dotato delle forze necessarie per affrontare quello stesso male,
fatica e dolore. L’uomo è capace di stare davanti alla realtà, mentre la
concezione greca tendeva ad accettare l’ingiustizia, la sventura, la
sottomissione affidando agli dei, al Caso, alla Necessità, all’Intelligenza
parte della colpa di ciò che accade.
Ancora oggi l’uomo e la
natura coesistono in un rapporto equilibrato di interscambio. A mio parere, il
fatto che l’uomo ha messo recentemente a rischio l’equilibrio di questo
rapporto, modificando oltre misura la natura, ha aumentato la consapevolezza
dell’uomo davanti ad essa, permettendo che ne comprendesse la preziosità e la
sua ricchezza. D’altra parte però, si è persa la coscienza che avevano i
filosofi greci nel lasciarsi interrogare da essa, nel chiedersi chi permette
che questo continuo miracolo avvenga, poiché, ottenebrati dalla scoperta delle
nostre capacità, ci siamo dimenticati che la realtà non è un’opera delle nostre
mani.
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