VERIFICA SU SOFOCLE
1) Rispondi brevemente a proposito del
percorso umano e artistico di Sofocle: nella certezza dell’onnipotenza divina
che spazio ha la libertà? La giustizia? La felicità? Il rapporto fra gli
uomini?
Nelle tragedie di Sofocle
emerge come centrale il rapporto tra dei e uomini, che si sviluppa in tutto il suo
percorso umano e artistico.
Nell’Aiace la dea Atena, pur
essendo protettrice di Odisseo, distrugge la vita del Telamonio, togliendogli
le cose più care ad un uomo: la ragione e la dignità, e portandolo così al
suicidio. Si capisce quindi quanto l’intervento degli dei sia solo parziale, e
quanto possa generare effetti negativi su uomini innocenti, anzi su uomini già
provati e sofferenti come lo stesso Aiace, che subisce quindi un doppio disonore.
Nell’Antigone la sofferenza
dell’innocente è ancora più evidenziata: l’intervento divino arriva troppo
tardi, e Antigone è morta con l’amara certezza di essere stata abbandonata da
quegli stessi dei per cui prima aveva difeso il primato della loro giustizia
rispetto alla legge umana.
Invece la tragedia che
tematizza il mito di Deianira, le Trachinie, compie addirittura un passo verso
quello che noi chiameremmo con un termine moderno “nichilismo”: in quest’opera
la situazione che si va creando è assolutamente ingiusta, assurda, perché più
di un innocente si ritrova succube di un male che non deriva da nessuna colpa. Allora
davanti a ciò l’uomo, disarmato, può prendere due posizioni: una è quella del
figlio di Eracle, Illo, che perde completamente la fiducia negli dei,
incolpandoli di un loro mancato intervento, quindi di un loro disinteresse. La seconda
è espressa dalla battuta finale del coro «E tutto questo è Zeus», che esprime
una posizione di sottomissione forzata nei confronti degli onnipotenti dei, che
avevano già prestabilito il male accaduto.
Però davanti a dèi
indifferenti o maligni, l’uomo non è più libero, perché, non avendo colpa per
ciò che accade, si ritrova in balia del caso. Viene quindi negato quel libero
arbitrio che Eschilo precedentemente si era sforzato di trovare nell’individuazione
di una colpevolezza nell’uomo, che può sbagliare davanti ad una scelta da
prendere.
L’uomo quindi è infelice, perché
tutto accade senza senso e senza che nulla si possa controllare; questo stato d’infelicità
inoltre si può documentare in ogni istante della vita umana, senza dover
aspettare un giudizio complessivo alla fine della vita, dopo averne tirato le
somme (come esprime invece l’idea di ὄλβος). Negando questo, Sofocle nega
quindi la possibilità che possa accadere un bene inaspettato, che superi il male;
perde la speranza. Questo concetto è riassunto nel prologo delle Trachinie,
pronunciato da Deianira, che nega la concezione di ὄλβος e afferma la sua
infelicità.
L’Edipo re, invece, pur
riprendendo queste tematiche in una vicenda differente, le rende più gravi e
radicali nel negare all’uomo una qualche possibilità d’azione verso un bene. Infatti
tutte le azioni di Edipo, uomo molto attivo e volonteroso, sono orientate verso
un buon intento, ma la sua stessa azione si ritorce contro di lui e finisce per
provocare un male, opposto ai suoi propositi. In tutto questo inutile e tragico
affannarsi, gli dei non intervengono, anzi di divertono con oracoli veritieri
ma ingannatori, beffeggiatori (come già trovato nelle Trachinie e come si
troverà in futuro nell’Edipo a Colono, cui un oracolo promette gloria solo dopo
avergli tolto tutto, alla morte).
Allora davanti a ciò, con la
consapevolezza di questa triste e amara verità sulla reale insensatezza della
vita, verità che tutti cercavano di nascondere, Edipo decide di farsi ceco, di
non voler più vedere le cose per come sono.
Cosa può fare l’uomo allora? Come
si può vivere così? L’atteggiamento proposto è quello del figlio e nello stesso
tempo marito di Giocasta: essere ἄθεος (àtheos, ateo), cioè colui che vive
nel totale disinteresse nei confronti degli dei di cui però non nega l’esistenza
(gli oracoli si sono infatti rivelati veritieri).
Questi è evidente nelle
tragedie seguenti, l’Elettra e il Filottete, in cui sono tematizzate vicende
esclusivamente umane: il tema della divinità è quasi del tutto assente, a
eccezione dell’intervento teatralmente necessario di Eracle, indispensabile per
poter risolvere la situazione che si era andata a creare nella vicenda del
Filottete; intervento che comunque arriva alla fine della tragedia: solo dopo
dieci anni di profonda sofferenza da parte del soldato abbandonato.
Solamente nell’ultima parte
della sua ultima opera Sofocle recupera una visione positiva, paradossalmente
al corso della storia ateniese in cui ha vissuto il tragediografo. Infatti durante
gli anni dello splendore di Atene (più propriamente la sua patria è Colono), l’autore
sviluppa una visione angosciata del mondo, e mentre Atene è vessata dagli esiti
fallimentari della guerra del Peloponneso, Sofocle matura invece la speranza di
una visione positiva, nonostante lui stesso fosse deluso da vicende familiari.
Il messaggio principale della
sua ultima tragedia è infatti che nonostante tutto il male subito durante la
vita, la bellezza con cui si consuma la miracolosa morte di Edipo, supera la
somma delle cose negative. Per la prima volta Sofocle esprime l’accenno ad una
positività nel rapporto con gli dèi.
2) Nella tragedia che hai letto (Edipo re,
Edipo a Colono, Filottete) indica un aspetto che ti ha interessato al di fuori
di quanto spiegato in classe.
Nell’Edipo a Colono mi ha
stupita la dolcezza con cui viene descritto il rapporto tra Edipo e le sue due
figlie Antigone ed Ismene. Infatti, dopo il loro rapimento da parte di alcuni
uomini di Creonte come ricatto per il ritorno di Edipo a Tebe, e dopo che Teseo
è riuscito a salvarle e riportarle da lui, il vecchio si dilunga in abbracci e
ringraziamenti commossi. Sofocle riesce a descrivere i rapporti umani con una
delicatezza rara. L’ho notato anche nel prologo dell’Edipo re, di cui mi ha
colpito la premura del re nei confronti del suo popolo, la sofferenza che lui
sente ampliata a ciascuno di loro per il morbo pestilenziale. Infatti, in
queste due tragedie, i rapporti umani buoni vengono deturpati da avvenimenti
preannunciati dagli dei, oppure da un altro uomo, come accade nel Filottete. Infatti
in quest’ultima tragedia l’amicizia tra Neottolemo ed il povero soldato
abbandonato è rovinata, come è corrotta
la stessa purezza del ragazzo, a causa di Odisseo; l’ingannatore lo convince a
perseguire una condotta “machiavellica”.
C’è quindi in Sofocle,
evidente nei rapporti umani, un aspetto di decadimento, di deperimento della
iniziale purezza e bontà, che ho visto descritto e tematizzato in molti autori
della letteratura italiana come Petrarca e Ariosto.
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