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Soggetto: riprende dalla storia leggendaria romana il mitico episodio
del ratto delle Sabine. I Romani invitano a banchetto con l’intento di
ingannarle e rapirle; i Sabini, venuti a sapere del tradimento, dichiarano
guerra ai Romani, pur essendo consanguinei, per riprendersi le loro donne. Le
mogli però si frappongono tra i due schieramenti impedendo loro di combattere
contro il proprio sangue.
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Impostazione della scena: non si ha la facilità di
lettura per il grande affollamento (assente nelle opere precedenti
di David) e viene meno l’essenzialità che aveva caratterizzato le altre tele. Questa
è una rappresentazione corale: non c'è una figura protagonista ma il
popolo è protagonista, il popolo è una massa indistinta ma ci sono alcune figure
che si impongono allo sguardo, che comunque è in continuo movimento e in
ricerca: osserva tutte le figure ma non si posa mai.
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È un dipinto pieno di riferimenti compositivi: la
figura bianca centrale che si frappone tra gli schieramenti avversari ricorda la
trasfigurazione di Raffaello. Il cavallo
è ripreso dal mosaico di Alessandro Magno. Il paggio a destra sembra di
Botticelli. Il soldato di schiena che porta lo scudo rotondo e la lancia è una
statua antica. Le donne che piangono e si disperano è un chiaro riferimento a Giotto
per la strage degli innocenti.
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Spazio: il paesaggio fa semplicemente da sfondo, come quello
tipico del teatro. Ma c’è un elemento interessante: il castello a sinistra
ricorda molto l’edificio della Bastiglia (anche se è un tempio etrusco),
osservazione che è importante per il senso che l’autore vuole comunicare.
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Messaggio: dato che i Romani e i Sabini erano un unico popolo, si
può ipotizzare che l’intento di David fosse quello di avvertire l’opinione
pubblica attraverso la storia romana che la rivoluzione francese era degenerata
in una guerra civile inutile e sanguinosa come quella antica.
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