Inventa un racconto utilizzando la suspense.
Mi lasciai cadere a peso morto sul letto senza neanche
mettermi il pigiama: la giornata era stata troppo faticosa per sprecare altre
energie.
Ormai stavo per addormentarmi, ma qualcosa mi impediva di
abbandonarmi nel dolce sonno; era una specie di oscuro presentimento, un senso
di paura che non trovava fondamenta. Rigirarmi nel letto non serviva a
scacciarlo via; improvvisamente un tuono sembrò spaccare il tetto della casa;
balzai giù dal letto con il fiato corto: non era successo niente. Mi alzai a
chiudere la finestra, ma un brivido d’orrore mi percorse la schiena: era tutto
buio e ne ebbi paura per la prima volta da quando avevo cinque anni; scattai
verso la porta e girai la chiave: ero chiusa nella mia piccola stanza nera, da
sola però al sicuro.
Tornai sul letto, le tende alla finestra si muovevano
leggermente per gli spifferi della tempesta che filtravano tra i vetri e
riflettevano un alone grigiastro in tutta la stanza illuminando la maniglia
della scura porticina che rifletteva ogni tanto i flash dei fulmini. Un’aria
pesante si diffuse piano piano e pensai di riaprire la porta, ma ancora una
volta un senso di sciagura mi fece rintanare la mano che stava togliendo le
coperte. Al movimento serpeggiante della tenda grigia le mie membra si
offuscarono lentamente e finalmente il sonno tanto aspettato si riversò sui
miei occhi. Sentii dei passi e la porta che cedeva, una fitta alla testa, un
freddo improvviso, mani gelide mi tiravano su. Urlai fredda di sudore e cercai
di risvegliarmi dal brutto sogno, ma non fu possibile, proprio perché non era
un sogno; scalciai e battei la schiena contro il legno del mio pavimento, corsi
urlando, mi fiondai di nuovo in stanza quando mi accorsi di essere in trappola.
Un’altra fitta e poi tutto scuro; sentii di nuovo le bianche e violente mani
che mi soffocavano le caviglie e le braccia. Un brevissimo vuoto e poi mi venne
incontro bruscamente un pavimento gelido che si muoveva e mi sballottava qua e
la. Di nuovo una fitta e il nero assoluto.
Tremavo, sudata, su una fredda sedia. La luce grigiastra filtrava
da una finestra, rifletteva il suo debole alone tutto intorno ad essa mentre il
resto era scuro. Il vento batteva sui vetri spogli e squallidamente sporchi,
come l’aria che mi aleggiava intorno. Era tutto così familiare, ero ancora
nella mia stanza? Era tutto un sogno?
Volevo alzarmi a bere un bicchier d’acqua, ma d’improvviso
una fitta che sembrava spaccarmi la testa in due mi fece emettere un gemito
sommesso, un rigagnolo rosso mi percorse il collo e quando arrivò al petto,
assorbito dalla maglietta, mi accorsi che tutto quello che mi era parso un
sogno era invece realtà:era sangue. La mente divenne lucida di colpo, tentai di
tamponarmi la testa dolorante ma le mani che volevo usare erano strette da uno
sporco filo che mi bloccava alla sedia. Ero di nuovo in trappola e di nuovo mi
oppresse un bruttissimo presentimento. Come uscire da quella situazione? La mia
mente ormai sveglissima era in lavoro febbrile ma tutto si fermò di colpo
quanto il rumore di una maniglia prese a tremare nell’aria pesante. Mi sentii
soffocata dalle corde: non era la mia stanza, la porta si aprì lentamente nella
parete di fondo, ma l’alone scarso della finestra illuminava solo me come i
fari che illuminano gli evasi dalle prigioni.
Volevo sapere chi era quella scura sagoma che era entrata
nella stanza, ma le parole mi furono portate via dal vento gelido che infuriava
alla finestra per entrare.
All’improvviso un suono basso, cavernoso parlò con una voce
che non mi scorderò mai: << Dammi il codice e non ti succederà nulla.
>>
Di nuovo la mente tornò ad un lavoro febbrile… quale codice?
Di che cosa stava parlando? Chi era? Cosa voleva da me?
<< I…io n…non so di che…>>
<< Dammelo! >>
A quel suono improvviso i miei timpani quasi si spezzarono e
una voglia di piangere mi invase la gola.
<< D…davvero di che cosa stai…>>
<< Ti ho detto di darmi il codice!>>
La sagoma balzò il avanti, sentii un’altra fitta alla testa,
e mi ritrovai ansante per terra, la sedia rotta ma comunque stretta dai lacci.
Il petto mi si sollevava ogni respiro, sentivo che non ce l’avrei fatta.
Sentii che i miei sensi se ne andavano poco a poco, ma
subito mi ritrovai a sputare acqua gelida che il misterioso uomo mi aveva
tirato addosso.
<< Sei più gracile di quanto pensassi, d'altronde mi
avevano avvertito che i matematici hanno questo punto debole…>>
<< Matematici? Hai sbagliato persona io sono una
commessa al…>>
Non finii la frase che una risata forzata e maligna
s’insinuò nella mia testa come neve nei vestiti.
<< Chi credi di prendere in giro? Non fai che
peggiorare la situazione mentendo, sappiamo benissimo chi sei e l’importanza
del codice che hai decifrato, quindi ti consiglio di sbrigarti a dircelo,
altrimenti il mio capo ne sarà molto deluso, e quando il capo è deluso si
arrabbia, e quando si arrabbia usa la sedia elettrica; quindi, ti conviene
parlare adesso e non sentirai più dolore.>>
<<Io n…non…>>
<<Smettila di prendermi in giro!>>
Una mano di ghiaccio mi strinse il viso nella sua morsa, e
fu lì che lo vidi in volto. I lineamenti sembravano scolpiti nel suo viso
scarno simile ad un teschio, era calvo e si vedevano le vene pulsargli nelle
tempie ad un ritmo veloce, troppo veloce. Le sue unghie sporche affondavano
poco a poco nelle mie guancie imbevute di lacrime, sentivo il suo glaciale
respiro sul viso e per poco non gli vomitai in faccia, nauseata da quell’odore
fetido che il suo naso storto emetteva regolarmente.
Prese dalla tasca sinistra un oggetto nero che all’inizio
non riconobbi, ma quando me lo mise alla tempia lo vidi per un istante e il mi
cuore si bloccò per qualche secondo; era la fine: aveva una pistola carica
mentre io solo la mia infinita paura.
<< Al tre devi dirmi il codice altrimenti… beh non c’è
bisogno che te lo spiego, no? >>
Cosa fare? All’inizio pensavo di inventare a caso dei
numeri, ma se era un codice a parole?
<< Uno…>>
Il fiato mi si mozzò. Magari inventarsi una frase e una
serie di numeri?
<< Due…>>
No, troppo rischioso. Avrebbero controllato e quando si
sarebbero accorti che stavo mentendo mi avrebbero ucciso, magari adesso stava
solo cercando di farmi paura…
<< Tr…>>
Trattenni il respiro pensando “Dio mio perdonami!”, ma un
rumore ben diverso da quello della pistola vibrò nell’aria; la porticina scura
si aprì di colpo susseguita da voci confuse. Che cosa dicevano?
<< Fermo! Mani…in alto…butta…pistola… >>
Poi urla e la mano sporca si staccò brusca dal mio viso.
Caddi a terra. Mi sovrastava un’altra figura, aveva dolci capelli marroni che
quasi mi sfioravano il petto e occhi scuri e caldi, un volto tondo e bianco, ma
sorridente… assomigliava … a chi assomigliava?
Ero troppo stanca, mi sembrava di aver sentito: <<
Sorella mia, ora va tutto bene. Sei stata scambiata per me… gemelle…sono
felice… ritrovata…>>. Caddi nel sonno più profondo, un alone biancastro
sfuocava lentamente l’immagine del viso femminile. Era tutto finito, ma chi era
quella ragazza? Questa domanda mi tormentò per tutto il sogno, ma solo quando
mi svegliai nel lettino bianco di un ospedale ne compresi la risposta.
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