“Con i miei occhi”: così suona il titolo
della prima raccolta dei versi di Saba (1912), in cui il poeta guarda se stesso attraverso la sua
città. E’ Trieste una presenza costante e fondamentale in tutta l’opera di
Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli, che qui nacque il 9 marzo 1883.
Il poeta era attratto e contemporaneamente
respinto da questa città. In essa si sentiva isolato e in difficoltà, lontano
da essa ne sentiva la necessità per continuare a scrivere.
Percorrere Trieste “con gli occhi di Saba” significa
anche a ripensare ai luoghi della città (il ghetto dei suoi antenati ebrei, la
sinagoga, il porto, le navi, i moli, le erte che portano alla collina, il
bianco panorama della città, alcuni caffè e osterie) come a uno spazio in cui
si intrecciano il piano della vita e quello della poesia.
A Trieste lo crebbe la madre ebrea
abbandonata al marito prima che Umberto nascesse.
Nonostante fosse molto legato alla sua terra
d’origine, Saba visse un certo periodo a Firenze. Aprì a Trieste una libreria
antiquaria; dopo la prima guerra mondiale la sua attività di librario lo portò
a compiere viaggi numerosi.
Gli anni più terribili furono quelli della
seconda guerra mondiale e della persecuzione contro gli ebrei: a Firenze Saba
venne aiutato e protetto da alcuni amici, cambiò spesso casa, si spostò anche a
Roma e, dopo la liberazione, a Milano.
Saba morì a Gorizia nel 1957.
Lo possiamo incontrare, sia fisicamente che
come poeta, nei ritratti che ci ha lasciato di lui l’amico Giuseppe Ungaretti:
“Avevo perso la nave e ne aspettavo un’altra… c’era con altri nostri amici,
Saba, e mi venne incontro. Era curvo, strizzato nelle spallucce un po’ per il
freddo un po’ per consuetudine, e con l’occhio spaventato e mansueto e che mai
a compassione premurosa verso chiunque pareva soffrisse.
Aveva il portamento che gli rividi poi
sempre, e mi sussurrò – E’ stato per colpa mia, perdonami-. – No, caro, non è
stato per colpa tua – risposi. Nel guardarlo bene imparai che il dolore ha una voce e non varia, tale voce sentivo
gemere.”
Nessuno ha più sentito nell’intimo la
presenza del nodo di dolore che da infiniti secoli l’uomo si fa più stretto da
generazione a generazione, e la stretta di tanto dolore nessuno l’ha espressa
con familiarità uguale alla sua, con quella grazia che resterà unica.
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