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domenica 29 aprile 2012

UMBERTO SABA - biografia


“Con i miei occhi”: così suona il titolo della prima raccolta dei versi di Saba (1912), in cui il poeta             guarda se stesso attraverso la sua città. E’ Trieste una presenza costante e fondamentale in tutta l’opera di Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli, che qui nacque il 9 marzo 1883.
Il poeta era attratto e contemporaneamente respinto da questa città. In essa si sentiva isolato e in difficoltà, lontano da essa ne sentiva la necessità per continuare a scrivere.
Percorrere Trieste “con gli occhi di Saba” significa anche a ripensare ai luoghi della città (il ghetto dei suoi antenati ebrei, la sinagoga, il porto, le navi, i moli, le erte che portano alla collina, il bianco panorama della città, alcuni caffè e osterie) come a uno spazio in cui si intrecciano il piano della vita e quello della poesia.
A Trieste lo crebbe la madre ebrea abbandonata al marito prima che Umberto nascesse.
Nonostante fosse molto legato alla sua terra d’origine, Saba visse un certo periodo a Firenze. Aprì a Trieste una libreria antiquaria; dopo la prima guerra mondiale la sua attività di librario lo portò a compiere viaggi numerosi.
Gli anni più terribili furono quelli della seconda guerra mondiale e della persecuzione contro gli ebrei: a Firenze Saba venne aiutato e protetto da alcuni amici, cambiò spesso casa, si spostò anche a Roma e, dopo la liberazione, a Milano.
Saba morì a Gorizia nel 1957.

Lo possiamo incontrare, sia fisicamente che come poeta, nei ritratti che ci ha lasciato di lui l’amico Giuseppe Ungaretti: “Avevo perso la nave e ne aspettavo un’altra… c’era con altri nostri amici, Saba, e mi venne incontro. Era curvo, strizzato nelle spallucce un po’ per il freddo un po’ per consuetudine, e con l’occhio spaventato e mansueto e che mai a compassione premurosa verso chiunque pareva soffrisse.
Aveva il portamento che gli rividi poi sempre, e mi sussurrò – E’ stato per colpa mia, perdonami-. – No, caro, non è stato per colpa tua – risposi. Nel guardarlo bene imparai che il dolore ha una voce e non varia, tale voce sentivo gemere.”
Nessuno ha più sentito nell’intimo la presenza del nodo di dolore che da infiniti secoli l’uomo si fa più stretto da generazione a generazione, e la stretta di tanto dolore nessuno l’ha espressa con familiarità uguale alla sua, con quella grazia che resterà unica.

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