“Sul pavimento musivo della
cattedrale di Otranto domina, sovrana, l’idea del bene e del male, della città
di Satana e della città di Dio. Esse si basano e sono caratterizzate da due
amori diametralmente opposti: amore di sé fino al disprezzo di Dio, amore di
Dio fino al disprezzo di sé.” (Gianfreda). Motiva l’affermazione dello storico
dell’arte alla luce di quanto raffigurato nel mosaico di Otranto.
Nel libro De Civitate Dei
sant’Agostino vede l’umanità divisa in base a due modalità di vita contrapposte,
che si generano da due amori diversi: da una parte la “città celeste”, l’insieme
cioè di chi vive per Dio, destinato alla redenzione, dall’altra chi invece è
destinato alla dannazione eterna per un “amore sé fino al disprezzo di Dio”,
per riprendere le parole di Gianfreda. Queste due realtà non sono fisicamente
incontrabili, ma sono individuabili nel cuore dell’uomo: due forze che si
combattono ogni giorno dentro ciascuno. Lo stesso Pantaleone non distingue in
maniera netta i “buoni” dai “cattivi”, non immediatamente individuabili nell’insieme
vivace del pavimento musivo, specchio della realtà quotidiana in cui è
difficile distinguere facilmente il bene dal male.
Troviamo infatti il cavallo
rampante, figura della tentazione e delle passioni sfrenate, ai piedi degli
atleti, che raffigurano la situazione sulla terra del cristiano, in perpetua
lotta con il male, protetto dallo scudo della fede in Cristo, armato dello
Spirito Santo. Ai piedi della vigna in cui Noè ed i suoi tre figli stanno
lavorando, c’è la frenetica costruzione della torre di Babele. Vediamo vicine la
colomba che torna da Noè stringendo nel becco il ramoscello d’ulivo, simbolo
della riconciliazione tra uomo e Dio, e il corvo intento a divorare carne
umana, simbolo del peccato incallito e perseverante nonostante la purificazione
del diluvio. È quasi un alternarsi di bene e male per tutta la lunghezza del
mosaico.
L’artista quindi ci mostra
sempre un esempio negativo e ci propone contemporaneamente la strada del
cristianesimo, modello per una vita positiva volta al bene, una porta che non
viene mai chiusa. Porta che nel mosaico l’uomo cinto da un perizoma custodisce (quella
del paradiso terrestre), dopo la cacciata di Adamo ed Eva, nella fascia del
mosaico più prossima all’abside. L’uomo tiene in mano un bastone che richiama
la forma della croce di Cristo oppure la lettera tau che veniva segnata
in una persona in alcuni riti penitenziari: per l’uomo la possibilità di
redimersi c’è, e passa attraverso il rinnegamento di se stesso fino al dono
totale di sé (come Gesù si donò sulla croce). La stessa fascia centrale
contenente lo Zodiaco testimonia il lavoro, scandito in una dozzina di
sequenze, una per ciascun mese dell’anno, come espressione di preghiera e
strumento di espiazione dal peccato rendendosi partecipe dell’opera creatrice
di Dio.
Pantaleone ribadisce la possibilità
per l’uomo di scegliere il male, attraverso gli esempi negativi tratti sia
dalla Bibbia che dalla storia della letteratura antica e cristiana, mostrando
però che la vera libertà si ha nel scegliere il bene per sé. Infatti ben altro
rispetto al lavoro presentato nelle dodici ruote dello Zodiaco è quello per la
costruzione della torre di Babele: simbolo della superbia intesa nel senso
dantesco. Dante nel Purgatorio colloca i superbi (canto X) tra coloro
che amano troppo se stessi (verrà esplicitata la struttura punitiva del
purgatorio nel XVII canto), perdendo di vista la propria dipendenza da Dio, per
cui la propria persona assume un valore maggiore a ciò che è realmente. La stessa
Bibbia racconta come gli uomini, costruttori della torre hanno voluto darsi da sé
un elemento di unione che non fosse Dio ma qualcosa creato dall’uomo.
Davanti al mosaico di
Pantaleone, il fedele è provocato da tutti gli esempi negativi ed i modelli
positivi ad usare la sua stessa libertà, a mettersi in gioco in prima persona
nella decisione e sequela di ciò che vuole scegliere per la sua vita: l’errore
dell’eresia (dragoni che vengono calpestati dalla figura quadricorporea), la
lussuria e la violenza (diluvio universale), la superbia (torre di Babele), la
tentazione (corvo carnivoro), il rifiuto della propria dipendenza (Adamo ed Eva),
la gelosia (Caino), la sfrenatezza delle passioni (cavallo rampante). Oppure l’affidamento
totale di sé (Noè), il sacrificio (Abele), la pace (colomba), il lavoro non
come punizione ma come possibilità di compiere la natura dell’uomo, che è
rapporto con Dio e quindi con il creato (Zodiaco), la completa dedizione di sé per
Dio nel perseguire il grande ideale (Parsifal). Questa strada non è proposta come
illusione, tanto che non vengono escluse le difficoltà e la necessità di avere
delle certezze che superino queste difficoltà, di essere cioè armati come dei
combattenti (gli atleti). Non viene censurata neanche la necessità di avere
qualcuno da seguire, proponendo come guida la Chiesa (figura quadri corporea,
arca di Noè dove l’uomo è salvo), via per la pace, affiancata dall’Impero (Alessandro
Magno), con il compito di dare sicurezza al cammino, spianare la strada della
Chiesa verso Dio dagli ostacoli.
È stupefacente trovare nel
tentativo di Pantaleone le stesse domande dei tragediografi antichi,
specialmente Eschilo: prova del sincretismo medievale che rilegge in chiave
cristiana la storia dell’uomo e della sintesi che Pantaleone opera nelle scelte
e nella struttura del pavimento musivo. Infatti il messaggio che trapela nella
maggior parte delle tragedie di Eschilo è la possibilità per il singolo di
scegliere per sé un cammino di colpa o di giustizia; ricerca quindi la
responsabilità del peccato nell’uomo, nel suo libero arbitrio, e non identificare
la colpa in una figura divina o in una tendenza al male ereditaria davanti a
cui l’uomo è impotente.
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