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domenica 29 aprile 2012

FAHRENHEIT 451 - tema


“Che incontro strano in  una notte strana! Non si ricordava di aver mai sperimentato nulla di simile, a eccezione di un pomeriggio, l’anno prima, quando aveva incontrato un vecchio nel parco e si erano messi a chiacchierare un poco […] la faccia di lei assomigliava inoltre ad uno specchio! Impossibile; perché quante persone hai mai conosciuto che riflettessero la tua propria luce proprio verso di te?”. Clarisse lascia un segno nell’incontro con Montag. Paragonandoti con lui, argomenta su cosa vuol dire che una persona lascia un segno.

Entriamo nel grande teatro. Non sono mai stata al Dal Verme e non ho mai assistito ad un incontro della Gioventù Studentesca guidato da Franco Nembrini, di cui ne è la guida e che terrà questa assemblea per rispondere a tutte le domande che assillano le menti di noi ragazzi. Quante persone! Sono circondata da un tumulto di giovani che, fluendo lentamente nella sala splendidamente costruita come un teatro greco,  parlano, chiacchierano ad alta voce, si raccontano della mattinata, sorridono. “Come sono felici tutti quanti… io invece da oggi posso dire di essere sola” penso fra me ricordandomi con una fitta di amara tristezza nel cuore della lettera che proprio ieri la mia migliore amica Maria mi ha scritto per dirmi che la assillavo troppo, ragione per cui non riusciva più a starmi accanto. Mentre inghiottisco le lacrime che mi annodano la gola una voce chiara, pura interrompe i miei pensieri. Sta cantando, per me, mi legge il cuore. “Mio Dio mi guardo ed ecco che scopro che non ho volto, guardo il mio fondo e vedo il buio senza fine...”. la melodia cessa e Franco entra, si siede, ci saluta. Comincia a parlare e quella voce è altrettanto bella, mi scalda il cuore, parla della vita, dell’amicizia che è eterna, che non sfiorisce mai, un sentimento che ti apre a tutto. Le altre persone scompaiono, vedo solo Franco, che parla a me, che mi accarezza con la voce, che mi asciuga le lacrime mentre mi guarda. Nessuno mi ha mai guardata così., perché guarda proprio me, Miriam Gaudio. Maria non mi ha mai guardata così. Mi sento amata, al sicuro, so che mi posso abbandonare nel suo abbraccio. Mi sento come Montag che cede alla curiosità di scoprire chi era quella persona che passeggiava di notte per le strade, e svolta la cantonata. Anche Montag si sarà sentito preso alla sprovvista dall’intensità degli occhi della ragazza che scavano nella tua anima? Chi è questa persona che parla di me senza neanche conoscermi? Come fa a sapere più cose di me di quante ne sappia io stessa? Cos’è questa amicizia di cui parla? La desidero. Ma potrà mia un uomo, così piccolo di fronte a Dio, riempire questa voragine, questo mio desiderio di qualcosa di eterno? Se solo Dio lo è allora perché l’uomo cerca l’amicizia qui sulla terra? Come fa ad esistere un rapporto più bello di quello che avevo con Maria? Mi sento impazzire, nella mia mente ondate di pensieri si scontrano come i marosi in tumulto, si gonfiano e si abbattono sulla riva della mia mente, quando una breccia squarcia il nero delle nuvole: una frase.
“amicizia è voler bene all’amico stesso, non al rapporto che si ha con lui. L’amicizia eterna esiste perché noi possiamo fare per sempre nostro quello che l’amico ci ha mostrato.” I flutti si placano e lasciano posto ad una distesa lineare bagnata dalla luce dell’alba, di qualcosa di nuovo. Il rapporto che ho con Maria è diventata una fatica, perché dovevo adoperarmi solo all’effimero rapporto che ho con lei. Mi accorgo di essere stanca, legata unicamente a lei perché chiusa al rapporto con qualsiasi persona che fosse diversa, pensavo infatti che il bello potesse essere contenuto solo in quell’amicizia.  Il viso di Franco è diventato come unno specchio in cui ora riesco finalmente a vedere me stessa, lo riscopro più maturo, completo. Riecheggia nella mia mente il canto di prima: “solo quando mi accorgo che tu sei, come unn’eco risento la mia voce, e rinasco come il tempo dal ricordo.” Sono rinata. Franco chiama i ragazzi a uscire e a fare interventi. Sento che posso esplodere se non urlo a tutti il mio incontro.  Mi alzo combattendo la repulsione istintiva a quello che sto per fare. Montag invece prende in mano un libro dal nascondiglio e si dirige in salotto. Faccio un passo dopo l’altro diretta al microfono: l’avrei preso in mano e avrei aperto gli occhi assonnati del mondo. Montag è in piedi tra le donne e tra i loro sguardi ammutoliti, spauriti e stupiti; sento gli stessi occhi su di me mentre percorro le file di sedie con la testa alta. Inizia a leggere il libro a sua moglie e alle sue amiche che, ora terrorizzate, scappano davanti alla bellezza. Montag non è riuscito a raggiungere completamente il suo scopo, come io vengo fermata da una coda chilometrica di ragazzi con le mie stesse intenzioni dipinte sul volto, in attesa del microfono. Finito il tempo a disposizione, non riesco a fare l’intervento, ma non ho fallito: le mie compagne sono state mosse da questo mio gesto e per prima io, che mi riscopro coraggiosa, capace di mettermi in gioco. Quanto è cambiato in poche ore, ora mi ritrovo a desiderare non più un’amicizia uguale a quella di prima , il cui centro eravamo io e Maria, ma qualcosa di più bello, di più grande che abbracci tutto e tutti, voglio qualcosa che abbracci l’infinito. 

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