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mercoledì 16 gennaio 2013

DIDONE - Eneide, libro IV


DIDONE – ENEIDE

Ma la regina ferita ormai da grave affanno
Alimenta nelle vene la ferita ed è consumata da un fuoco profondo.
Ricorda il grande eroismo dell’eroe e la gloria
Della sua stirpe: restano infissi nel petto il volto e
Le parole, né l’affanno concede alle membra una lieta fermezza.
L’aurora del giorno dopo illuminava con la lampada di Febo
La terra e aveva allontanato dal cielo l’ombra rugiadosa,
mentre in questo modo si rivolse impazzita d’amore alla sorella concorde:
«Anna sorella mia, quali ansie che tolgono il sonno mi tengono sveglia!
Che straordinario ospite è giunto nelle nostre dimore,
quale si mostra all’aspetto, che cuore coraggioso e che spalle!
Lo credo davvero, non è una vana speranza, che è figlio di dei.
La paura svela i cuori vili. Ah da quale
destino è stato travolto! Che guerre sostenute narrava!
Se non avessi preso la decisione salda e irrevocabile
Di non volermi unire a nessuno nel vincolo matrimoniale,
dopo che il mio primo amore mi tradì e mi abbandonò morendo;
se non avessi provato disgusto per il talamo e le nozze,
forse avrei potuto lasciarmi andare a questa sola colpa.
Anna, dunque lo confesserò, dopo la morte del misero marito Sicheo
Ed i penati imbrattati dal sangue sparso da mio fratello,
solo lui aprì una breccia nei sentimenti e scosse cuore facendolo vacillare.
Conosco i segni dell’antica fiamma.
Ma prima vorrei o che la terra mi inghiottisse,
o che il padre onnipotente mi precipiti con il fulmine nel regno dei morti,
le pallide ombre nell’Eremo e la notte profonda,
prima violi, o Pudore, o rompa il tuo giuramento.
Colui che per promo mi legò a sé con il vincolo del matrimonio,
mi ha strappato via il mio amore; egli lo tenga con sé e lo conservi nel sepolcro».
Dopo essersi espressa così, inondò il seno di un pianto disperato.


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